-
Ti amo.
- Lo
so.
Finse
di essere indispettito da quella risposta ma in realtà gli piaceva.
Per la prima volta nella sua vita era più preoccupato che lei
sentisse il suo amore piuttosto di sentire di essere amato ed era una
sensazione che lo stupiva. Con Irene era così, ed era il segnale che
qualcosa di speciale era capitato nella sua vita anche se ancora
stentava a crederlo. La avvolse con le proprie braccia, non era un
semplice abbraccio era un tentativo di crearle una nicchia
confortevole in cui avrebbe potuto essere felice e al sicuro.
- Non
te l'ho mai detto ma sembri sempre triste quando mi dici “ti amo”.
Leo
rimase senza parole. Era vero. Non sembrava triste, lo era. Per una
miriade di ragioni che avevano tutte una matrice comune: la paura
anzitutto. La paura di deluderla, di non essere all'altezza. La paura
del futuro figlia del non saper bene cosa si vuole e cosa si deve
fare per ottenerlo. La paura che quella fortuna finisca così com'è
arrivata, che quell'incantesimo si spezzi. La paura che quella
felicità sia solo apparenza anche se quel pensiero gli sembrava
contraddittorio. “Come posso essere triste perché sono felice?”.
Normalmente relegava quei pensieri in un angolo della mente senza
lambiccarcisi troppo, la filosofia e l'animo umano, specialmente il
suo, non erano certamente la sua specialità ma quella sera, complice
lo slancio d'affetto che aveva sentito di fronte al suo “lo so”
decise di aprirsi. Se quella ragazza era speciale doveva agire di conseguenza e aprirsi con
lei. Si scostò senza però rinunciare al piacere del contatto con il
suo corpo posandole le mani sui fianchi e la guardò a lungo. Cercava le parole studiando l'arco delle sopracciglia castane,
contemplando il piccolo neo appena sopra all'angolo destro della
bocca, beandosi della cicatrice sottile che si intravedeva fra i
capelli setosi proprio dove questi si separavano in una riga. Fu
quando la guardò negli occhi che la lingua gli si sciolse.
- Non
ti è mai capitato di sentire di non appartenere a nessun luogo?
Quegli
occhi vivaci che sembravano avere sempre e comunque un velo di
malinconia.
-
Come se tutto fosse estraneo.
Quegli
occhi che sin dal primo incontro gli fecero pensare di aver trovato
qualcuno di affine.
-
Indifferente.
Il
viso di Irene si rabbuiò appena e già Leonardo si era pentito di
aver iniziato quel discorso e si sentì come se avesse dato il via a
una frana che si sarebbe conclusa inevitabilmente con dolore per
entrambi. Lei lo amava per il suo essere solare e tranquillo, non di
certo per i suoi pensieri più cupi e dolorosi che d'altra parte
aveva represso con cura almeno fino a quel momento. Rimase in attesa
del peggio, era sicuro che lei avrebbe sminuito quei suoi pensieri e
lui ne sarebbe rimasto deluso. Avrebbe capito che dopo tutto quella
storia non era così speciale. Lei parlò con un filo di voce.
-
Perché?
La
domanda gli sembrò incongruente. Si sarebbe aspettato un “in che
senso” o qualcosa del genere, non di certo un “perché”.
-
Perché cosa?
-
Perché dici così?
- Non
lo so, è un'impressione.
Iniziava
ad essere irritato, gli sembrava che Irene non lo stesse capendo ma
stesse cercando di impressionarlo, come se volesse
lasciargli intendere che lei la sapesse lunga. La ragazza gli
sorrise, gli pettinò il ciuffo che si protendeva in avanti dalla sua
fronte e quel gesto lo tranquillizzò.
- E
quando hai quest'impressione?
- Be'
ad esempio quando ritorno a casa... Nel fine settimana. Rientro,
saluto i miei, dormo in quello che è sempre stato il mio letto,
rivedo quelli che da sempre sono stati i nostri mobili... Ma è come
se nulla fosse veramente mio.
- Ma
anch'io mi sento così. La nostra vita non è più in quei luoghi, si
svolge da altre parti. Torniamo lì solo saltuariamente quindi penso
che sia normale avvertire un senso di estraniamento.
- Sì
è vero... Ma è qualcosa di profondo. Non è un momento passeggero.
Io mi sono sempre sentito così a casa mia. Dico “mia” per
convenzione ma potrebbe essere di chiunque altro e non mi farebbe
alcuna differenza.
- Ma
non ne puoi essere sicuro. Anche adesso che vivi qui in realtà sai
di avere una casa in cui sei cresciuto ed è quello a renderla tua...
È un'impressione.
-
Proprio quello che ho detto anch'io.
Ripresero
a camminare lungo la strada nella serata di quasi primavera. Leo con
gli occhi bassi, mortificato per non essere riuscito a spiegarsi,
Irene con lo sguardo verso la fluorescenza aranciata del cielo
nuvoloso. Dovette trovarvi un'idea.
- È
come se non potessi mai riposarti.
Leo
si fermò.
- Sì
- E
ti capita anche con me?
- No
con te no...
- E
allora perché sei triste quando dici che mi ami?
-
Perché è bello. E ho paura. Proprio perché con te non mi capita.
-
Sai... È la dichiarazione d'amore più contorta che mi abbiano mai
fatto.
Si
sentì rinfrancato. Pensava che non potesse capirlo ma almeno ci
aveva provato, sentì chiaramente che avrebbe fatto qualsiasi cosa
per lei.
Nessun commento:
Posta un commento