21.3.12

Un incipit


- Ti amo.
- Lo so.
Finse di essere indispettito da quella risposta ma in realtà gli piaceva. Per la prima volta nella sua vita era più preoccupato che lei sentisse il suo amore piuttosto di sentire di essere amato ed era una sensazione che lo stupiva. Con Irene era così, ed era il segnale che qualcosa di speciale era capitato nella sua vita anche se ancora stentava a crederlo. La avvolse con le proprie braccia, non era un semplice abbraccio era un tentativo di crearle una nicchia confortevole in cui avrebbe potuto essere felice e al sicuro.

- Non te l'ho mai detto ma sembri sempre triste quando mi dici “ti amo”.
Leo rimase senza parole. Era vero. Non sembrava triste, lo era. Per una miriade di ragioni che avevano tutte una matrice comune: la paura anzitutto. La paura di deluderla, di non essere all'altezza. La paura del futuro figlia del non saper bene cosa si vuole e cosa si deve fare per ottenerlo. La paura che quella fortuna finisca così com'è arrivata, che quell'incantesimo si spezzi. La paura che quella felicità sia solo apparenza anche se quel pensiero gli sembrava contraddittorio. “Come posso essere triste perché sono felice?”. Normalmente relegava quei pensieri in un angolo della mente senza lambiccarcisi troppo, la filosofia e l'animo umano, specialmente il suo, non erano certamente la sua specialità ma quella sera, complice lo slancio d'affetto che aveva sentito di fronte al suo “lo so” decise di aprirsi. Se quella ragazza era speciale doveva agire di conseguenza e aprirsi con lei. Si scostò senza però rinunciare al piacere del contatto con il suo corpo posandole le mani sui fianchi e la guardò a lungo. Cercava le parole studiando l'arco delle sopracciglia castane, contemplando il piccolo neo appena sopra all'angolo destro della bocca, beandosi della cicatrice sottile che si intravedeva fra i capelli setosi proprio dove questi si separavano in una riga. Fu quando la guardò negli occhi che la lingua gli si sciolse.
- Non ti è mai capitato di sentire di non appartenere a nessun luogo?
Quegli occhi vivaci che sembravano avere sempre e comunque un velo di malinconia.
- Come se tutto fosse estraneo.
Quegli occhi che sin dal primo incontro gli fecero pensare di aver trovato qualcuno di affine.
- Indifferente.
Il viso di Irene si rabbuiò appena e già Leonardo si era pentito di aver iniziato quel discorso e si sentì come se avesse dato il via a una frana che si sarebbe conclusa inevitabilmente con dolore per entrambi. Lei lo amava per il suo essere solare e tranquillo, non di certo per i suoi pensieri più cupi e dolorosi che d'altra parte aveva represso con cura almeno fino a quel momento. Rimase in attesa del peggio, era sicuro che lei avrebbe sminuito quei suoi pensieri e lui ne sarebbe rimasto deluso. Avrebbe capito che dopo tutto quella storia non era così speciale. Lei parlò con un filo di voce.
- Perché?
La domanda gli sembrò incongruente. Si sarebbe aspettato un “in che senso” o qualcosa del genere, non di certo un “perché”.
- Perché cosa?
- Perché dici così?
- Non lo so, è un'impressione.
Iniziava ad essere irritato, gli sembrava che Irene non lo stesse capendo ma stesse cercando di impressionarlo, come se volesse lasciargli intendere che lei la sapesse lunga. La ragazza gli sorrise, gli pettinò il ciuffo che si protendeva in avanti dalla sua fronte e quel gesto lo tranquillizzò.
- E quando hai quest'impressione?
- Be' ad esempio quando ritorno a casa... Nel fine settimana. Rientro, saluto i miei, dormo in quello che è sempre stato il mio letto, rivedo quelli che da sempre sono stati i nostri mobili... Ma è come se nulla fosse veramente mio.
- Ma anch'io mi sento così. La nostra vita non è più in quei luoghi, si svolge da altre parti. Torniamo lì solo saltuariamente quindi penso che sia normale avvertire un senso di estraniamento.
- Sì è vero... Ma è qualcosa di profondo. Non è un momento passeggero. Io mi sono sempre sentito così a casa mia. Dico “mia” per convenzione ma potrebbe essere di chiunque altro e non mi farebbe alcuna differenza.
- Ma non ne puoi essere sicuro. Anche adesso che vivi qui in realtà sai di avere una casa in cui sei cresciuto ed è quello a renderla tua... È un'impressione.
- Proprio quello che ho detto anch'io.
Ripresero a camminare lungo la strada nella serata di quasi primavera. Leo con gli occhi bassi, mortificato per non essere riuscito a spiegarsi, Irene con lo sguardo verso la fluorescenza aranciata del cielo nuvoloso. Dovette trovarvi un'idea.
- È come se non potessi mai riposarti.
Leo si fermò.
- Sì
- E ti capita anche con me?
- No con te no...
- E allora perché sei triste quando dici che mi ami?
- Perché è bello. E ho paura. Proprio perché con te non mi capita.
- Sai... È la dichiarazione d'amore più contorta che mi abbiano mai fatto.
Si sentì rinfrancato. Pensava che non potesse capirlo ma almeno ci aveva provato, sentì chiaramente che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.

Nessun commento:

Posta un commento