28.3.12

La formica Mi e l'incendio


Ecco un esercizio che ci proposero appena iniziato il corso di sceneggiatura... Un articolo di giornale e gli stessi fatti ri-raccontati da un punto di vista particolare...

CORREGGIO – Nella notte fra il 7 e l’8 luglio si è tramutato in strage un incendio scaturito secondo i rilevamenti dei vigili del fuoco dalla panetteria “il mugnaio felice” di via Pasternak. A causa del vento le fiamme si sono diffuse rapidamente alle palazzine circostanti e hanno impegnato i pompieri in un’estenuante lotta durata diverse ore. Pesantissimo il bilancio. Il personale del panificio e diversi abitanti del quartiere sono rimasti vittima delle fiamme o soffocati dai fumi. Il computo totale delle vittime ammonta a trentatre. Ingenti i danni alle strutture, l’edificio in cui si trovava il forno è crollato e i condomini circostanti hanno subito gravi danni che hanno indotto le autorità a decretarne l’evacuazione. Ancora incerte le cause. L’ipotesi più accreditata è che sia scaturito un corto circuito scaturito dai forni della panetteria ma alcuni testimoni riferiscono di aver udito un’accesa discussione provenire dall’interno del negozio fra le 4 e le 5 del mattino. La magistratura ha deciso di aprire un’inchiesta ma le indagini si preannunciano estremamente complicate. Le autorità hanno deciso di proclamare una giornata di lutto cittadino per commemorare le vittime di questa terribile tragedia.
Dura la vita di una formica operaia. Esci dal formicaio, prendi il carico, trasporta il carico, depositalo ed esci di nuovo. Per tutto il giorno. Tutta la notte. Un moto perpetuo di briciole, di frammenti, di pezzettini. Miseri tesori che accumulati formano il tesoro del formicaio. La vita della comunità. Mi era una formica. Apparteneva al formicaio del “mugnaio felice”. Aveva imparato a muoversi mimetizzandosi nelle ombre dei tavoli. Nello sporco nero delle mattonelle. Sapeva evitare quelle enormi e buffe creature bipedi. Così gigantesche quanto letali. In una notte qualsiasi, per una formica operaia il tempo è scandito solo dal trasporto, alla sua trentesima missione, aveva trovato un enorme briciola di pane. Era fiera di trasportare un simile trofeo. Aveva incrociato altre formiche ma aveva rifiutato il loro aiuto. Voleva tutto per sé il merito di quel trasporto eccezionale. Era sulla strada del ritorno, oberata dal suo carico, quando all’improvviso due di quei bipedi giganti iniziarono a discutere, aveva imparato a comprendere quel linguaggio così poco essenziale e capì che c’era una femmina di mezzo, forse qualcosa di simile a una formica regina. Mentre trasportava il suo carico rifletteva sul linguaggio. Si chiedeva come mai gli uomini, questo il nome di quei bipedi, usassero quei suoni così complicati. Molto meglio usare le antenne e gli odori pensò fra sé e sé. Mentre era assorta non si avvide che la discussione era degenerata. Volavano parole grosse, sbuffi di farina e qualche sganassone. Altri uomini accorsero per separare i due litiganti. In un formicaio che si rispetti questo non sarebbe mai accaduto. Per Mi questo era un enorme problema. Gli uomini non badavano certo a lei in quel momento ma lei doveva badare a sé e al suo carico. Dovette schivare diverse pedate. Dovette persino abbandonare il suo carico per un attimo per potersi muovere più agevolmente. Si mise a correre quanto più in fretta poteva con quel suo enorme tesoro che quasi le strappava le mandibole mentre lo trascinava. Corse verso casa. Verso il formicaio sistemato dietro quegli oggetti roventi. Tanto pericolosi quanto utili quando l’inverno gela l’acqua nei tubi. Arrivò ai piedi del muro e si concesse un breve riposo. Era fuori dell’azione dei bipedi ormai. L’attendeva la parte più impegnativa del suo percorso, la salita in verticale. Raccolse le forze e si incamminò con il suo carico. Passo dopo passo. Millimetro dopo millimetro raggiunse la crepa situata in prossimità di una specie di scatola nel muro. Una scatola che conteneva e da cui partivano numerosi cavi. Cavi strani percorsi da una strana vibrazione. Aveva sentito di alcune compagne morte vicino a quei fili ma non aveva mai capito come fosse successo. Forse si trattava solo di favole che le vecchie nutrici raccontano ai formichini per spaventarli quando non si comportano bene. Si infilò nel muro, era al sicuro ora. Pregustava già lo sguardo di plauso che la formica regina le avrebbe tributato per il suo enorme carico. Pensava che quello sarebbe forse bastato per tutto l’inverno per l’intera comunità. Pensava a una promozione, a onori e glorie. Ma la sua propensione alla fantasticheria questa volta le fu fatale. Stava camminando su uno di quegli strani cavi quando all’improvviso avvertì un’energia terribile, aveva messo le zampe in un punto dove la gomma di cui erano ricoperti quei tubi era così consumata da esporre il metallo che conteneva all’interno. Le antenne le si drizzarono, le zampe si irrigidirono e poi fu un lampo improvviso e di Mi non rimase nulla. Non rimase nulla nemmeno del formicaio di cui Mi voleva essere l’orgoglio. La scintilla scaturita dalla formica e da quella sua enorme briciola infatti aveva fatto scaturire migliaia di altre scintille e subito dopo s’accese una piccola fiammella e quella fiammella ne generò altre immediatamente. Ben presto divampò un incendio. I bipedi cominciarono ad urlare con quei loro suoni come poco prima. Ma questa volta non era rabbia era terrore. Quella stanza che costituiva la fonte del nutrimento per il formicaio si era trasformata nella sua fine.

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