12.12.12

Fabrizio e Anna, dopo la lite.


 Ricomponiamo. Anzitutto con Anna. Durante il pomeriggio e a cena le ho girato al largo per dare il tempo alle parole che ci siamo detti di sedimentare. Ho atteso di ritrovarla nel morbido comfort della nostra camera da letto. L'ho spiazzata con un: “sono un cretino” e non ho battuto ciglio al suo prevedibile “sì” di risposta e a quel punto abbiamo potuto sviscerare i veleni che ci hanno fatto dire quello che non pensiamo. Due idealismi a confronto: il mio pacato e consapevole, forse a volte rassegnato, il suo arrembante, da eroina romantica. E alla fine dei mille tornanti del nostro discorso è arrivata la sua solita domanda. La porta blindata che lei non riesce a varcare e di cui io stesso forse non ho le chiavi. Anzi visto quanto emerso con il Sommo posso tranquillamente dire di averle perse da un po'.
- Perchè fai quello che fai?

A quella domanda siamo arrivati partendo da Gabriele e Letizia e alla vita che stiamo dando loro passando per quanto erano belli i primi tempi che furono e quanto siano difficili e perigliosi per noi ora. Non ci manca la sicurezza economica, abbiamo tutti e due un lavoro ben remunerato che ci soddisfa ma questo non significa che non ci manchi qualcosa. Più che altro è il sentirsi continuamente in balia del dover fare (ecco, ora che dialogo con te, amore mio, trovo le parole che avrei voluto dire al mio Cerbero guida). Il dover andare a scuola a parlare con gli insegnanti, il dover pagare le bollette, il dover sistemare il giardino, il dover accompagnare i figli in una delle mille attività sportivo artistiche pomeridiano serali. Tutte cose necessarie, irrimandabili, irrinunciabili ma che via via fanno levare nella testa una vocina che continuamente chiede “e io?”. Così arriva un momento in cui si procede con il pilota automatico e si perdono di vista le motivazioni per cui si fanno certe cose. E allora tutto ha come il sapore del cartone, e ci si rende conto che il tempo è passato solo quando un giorno salendo le scale ci si accorge che il respiro si è fatto impercettibilmente più corto. A quel punto ci si guarda attorno e ci si ritrova in un luogo senza sapere come ci si è arrivati. Come quando si entra in una stanza cercando un oggetto e non ci si ricorda più quale. Qualcosa così. E lo sconforto del sentirsi piccoli e in balia del mondo ha dato il la al piacere di ritrovarsi uniti, faccia a faccia, in piedi accanto al letto, nella penombra delle lampade moderne che sembrano cactus (un'idea di Anna per cui ogni cosa è un fatto d'estro). Ci siamo baciati. Non sono stato io a farlo e neppure lei. Un'iniziativa comune per colmare quel poco spazio che ancora ci divideva e che ha portato le nostre labbra ad incontrarsi a metà strada. E lo smarrimento si è tramutato nella certezza del poter dire “sono qui” mentre spoglio questa Biancaneve seducente come Walt Disney non ha mai osato pensarla. Sono qui. Non so dove, non so quando ma ci sono. Sentire di esserci mentre mi perdo in quell'odore che è come un canto che solo io posso ascoltare. Sentire presente, passato e futuro mescolarsi, scambiarsi di posto, giocare a nascondino mentre parto dall'interno del suo corpo e ritrovo lo slancio per navigare ancora fra le correnti impetuose che sono io, armato di una nuova consapevolezza. E dopo la bufera di parole dette per ferire, la calma delle parole dette per ricucire e la tempesta dei sensi, è arrivato l'abbraccio con il respiro ancora affannato. E in quel momento come da una distanza siderale è atterrata quella domanda. La solita, appunto. Quasi a tradimento.
- Perché fai quello che fai?
Come posso spiegarti mia dolce Anna che il dolore è stato semplicemente troppo per poter tollerare che altri lo provino? Come posso non essere patetico sciorinando un elenco di accadimenti insignificanti per chiunque tranne per me che li ho provati? Come posso raccontarti di quanto ci si senta soli quando vedi attorno a te ragazzi che ridono e tu non ci trovi nulla di divertente? Come posso parlare di quanto bruci l'invidia per gli altri qualsiasi cosa facciano? Perché in queste cose sta il perché. Come potresti non metterti a ridere di fronte alla mia fragilità che si è costituita in volontà velleitaria? Non sai che dell'indicibile bisogna tacere? (Grazie Ludwig per essere riuscito a coniare una simile perla.)
Di fronte al mio silenzio è arrivato il corollario che chiarisce la sua ansia.
- Non pensi mai che sia tutto inutile?
L'inventare storie per mestiere ti ha fatto nascere il dubbio che il destino di ogni vita sia quella di rimanere scritta nella carta immobile ad attendere che il tempo ingiallisca le pagine in una fissità eterna ed inutile. Tutto già scritto ma continuamente in riscrittura, in un eterno ciclo di attenzione e oblio. Eccolo lì il cuore nero della mia cantastorie.
- Se togli al mare un cucchiaio d'acqua ottieni il mare meno quel cucchiaio.
Ho parlato con un'immagine perché di fronte a certi dubbi insormontabili non c'è discorso logico che tenga, bisogna rivolgersi alle immagini per ottenere supplementi di significato. Per un po' rimaniamo ad immaginare come sia quel mare con un cucchiaino in meno e mi pare di sentire il rumore delle onde nel suo respiro che piano piano si placa.
- È perché sei capace di dire simili cazzate che ti amo.
Socchiudo gli occhi un po' compiaciuto e un po' indispettito. Non sono cazzate, ci credo veramente. Posso però dire che la mia vita sia coerente con questa convinzione? Non lo so più, onestamente.
Sto per sprofondare nel sonno con una vaga sensazione di disagio ma lei mi afferra per i capelli con una comunicazione pratica. Riemergo nell'agglomerato di dover essere e di dover fare.
- Domani ho il treno alle 6.30, devi occuparti tu dei piccoli.
E già si abbandona al sonno ristoratore mentre io ho ancora gli occhi sgranati. Me ne ero completamente dimenticato! Ho la vaga sensazione di essere stato truffato.

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