Ricomponiamo. Anzitutto con Anna. Durante il pomeriggio e a cena le
ho girato al largo per dare il tempo alle parole che ci siamo detti
di sedimentare. Ho atteso di ritrovarla nel morbido comfort della
nostra camera da letto. L'ho spiazzata con un: “sono un cretino”
e non ho battuto ciglio al suo prevedibile “sì” di risposta e a
quel punto abbiamo potuto sviscerare i veleni che ci hanno fatto dire
quello che non pensiamo. Due idealismi a confronto: il mio pacato e
consapevole, forse a volte rassegnato, il suo arrembante, da eroina
romantica. E alla fine dei mille tornanti del nostro discorso è
arrivata la sua solita domanda. La porta blindata che lei non riesce
a varcare e di cui io stesso forse non ho le chiavi. Anzi visto
quanto emerso con il Sommo posso tranquillamente dire di averle perse
da un po'.
- Perchè fai quello che fai?
A quella domanda siamo arrivati partendo da Gabriele e Letizia e alla
vita che stiamo dando loro passando per quanto erano belli i primi
tempi che furono e quanto siano difficili e perigliosi per noi ora.
Non ci manca la sicurezza economica, abbiamo tutti e due un lavoro
ben remunerato che ci soddisfa ma questo non significa che non ci
manchi qualcosa. Più che altro è il sentirsi continuamente in balia
del dover fare (ecco,
ora che dialogo con te, amore mio, trovo le parole che avrei voluto
dire al mio Cerbero guida). Il
dover andare a scuola
a parlare con gli insegnanti, il dover pagare
le bollette, il dover sistemare
il giardino, il dover accompagnare
i figli in una delle mille attività sportivo artistiche pomeridiano
serali. Tutte cose necessarie, irrimandabili, irrinunciabili ma che
via via fanno levare nella testa una vocina che continuamente chiede
“e io?”. Così arriva un momento in cui si procede con il pilota
automatico e si perdono di vista le motivazioni per cui si fanno
certe cose. E allora tutto ha come il sapore del cartone, e ci si
rende conto che il tempo è passato solo quando un giorno salendo le
scale ci si accorge che il respiro si è fatto impercettibilmente più
corto. A quel punto ci si guarda attorno e ci si ritrova in un luogo
senza sapere come ci si è arrivati. Come quando si entra in una
stanza cercando un oggetto e non ci si ricorda più quale. Qualcosa
così. E lo sconforto del sentirsi piccoli e in balia del mondo ha
dato il la al piacere di ritrovarsi uniti, faccia a faccia, in piedi
accanto al letto, nella penombra delle lampade moderne che sembrano
cactus (un'idea di Anna per cui ogni cosa è un fatto d'estro). Ci
siamo baciati. Non sono stato io a farlo e neppure lei. Un'iniziativa
comune per colmare quel poco spazio che ancora ci divideva e che ha
portato le nostre labbra ad incontrarsi a metà strada. E lo
smarrimento si è tramutato nella certezza del poter dire “sono
qui” mentre spoglio questa Biancaneve seducente come Walt Disney
non ha mai osato pensarla. Sono qui. Non so dove, non so quando ma ci
sono. Sentire di esserci mentre mi perdo in quell'odore che è come
un canto che solo io posso ascoltare. Sentire presente, passato e
futuro mescolarsi, scambiarsi di posto, giocare a nascondino mentre
parto dall'interno del suo corpo e ritrovo lo slancio per navigare
ancora fra le correnti impetuose che sono io, armato di una nuova
consapevolezza. E dopo la bufera di parole dette per ferire, la calma
delle parole dette per ricucire e la tempesta dei sensi, è arrivato
l'abbraccio con il respiro ancora affannato. E in quel momento come
da una distanza siderale è atterrata quella domanda. La solita,
appunto. Quasi a tradimento.
- Perché fai quello che fai?
Come
posso spiegarti mia dolce Anna che il dolore è stato semplicemente
troppo per poter tollerare che altri lo provino? Come posso non
essere patetico sciorinando un elenco di accadimenti insignificanti
per chiunque tranne per me che li ho provati? Come posso raccontarti
di quanto ci si senta soli quando vedi attorno a te ragazzi che
ridono e tu non ci trovi nulla di divertente? Come posso parlare di
quanto bruci l'invidia per gli altri qualsiasi cosa facciano? Perché
in queste cose sta il perché. Come
potresti non metterti a ridere di fronte alla mia fragilità che si è
costituita in volontà velleitaria? Non sai che dell'indicibile
bisogna tacere? (Grazie Ludwig per essere riuscito a coniare una
simile perla.)
Di fronte al mio silenzio è arrivato il corollario che chiarisce la
sua ansia.
- Non pensi mai che sia tutto inutile?
L'inventare storie per mestiere ti ha fatto nascere il dubbio che il
destino di ogni vita sia quella di rimanere scritta nella carta
immobile ad attendere che il tempo ingiallisca le pagine in una
fissità eterna ed inutile. Tutto già scritto ma continuamente in
riscrittura, in un eterno ciclo di attenzione e oblio. Eccolo lì il
cuore nero della mia cantastorie.
- Se togli al mare un cucchiaio d'acqua ottieni il mare meno quel
cucchiaio.
Ho parlato con un'immagine perché di fronte a certi dubbi
insormontabili non c'è discorso logico che tenga, bisogna rivolgersi
alle immagini per ottenere supplementi di significato. Per un po'
rimaniamo ad immaginare come sia quel mare con un cucchiaino in meno
e mi pare di sentire il rumore delle onde nel suo respiro che piano
piano si placa.
- È perché sei capace di dire simili cazzate che ti amo.
Socchiudo gli occhi un po' compiaciuto e un po' indispettito. Non
sono cazzate, ci credo veramente. Posso però dire che la mia vita
sia coerente con questa convinzione? Non lo so più, onestamente.
Sto
per sprofondare nel sonno con una vaga sensazione di disagio ma lei
mi afferra per i capelli con una comunicazione pratica. Riemergo
nell'agglomerato di dover essere
e di dover fare.
- Domani ho il treno alle 6.30, devi occuparti tu dei piccoli.
E già si abbandona al sonno ristoratore mentre io ho ancora gli
occhi sgranati. Me ne ero completamente dimenticato! Ho la vaga
sensazione di essere stato truffato.
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